La cronaca 1999

La carica dei 104

di Claudia Cannella

Giovedì 26 giugno. Il teatro è aperto da pochi minuti e già il foyer risuona di frammenti shakespeariani, training respiratori ed esercizi yoga, mentre sul parquet, tra l’attrezzeria di scena disseminata un po’ ovunque, c’è chi fa ginnastica, chi si fa massaggiare o provare la parte dal compagno, chi si veste o si trucca.

È giorno di pre-selezioni. I giovani aspiranti attori di questa prima fase del concorso non hanno frequentato accademie, ma scuole di teatro locali, laboratori e seminari. Sono tanti, 48 per la precisione. Ore 9.30: iniziano le audizioni e non è certo facile per un attore, per quanto “aspirante”, mobilitare corpo, anima e concentrazione a quell’ora del mattino, ma i numeri non ammettono ritardi sulla tabella di marcia e la “fisiologia” del teatrante deve essere per questa volta messa da parte.

premiati_1999Non c’è tempo comunque neanche per furtivi sonnecchiamenti perché le eroicomiche gesta del Barone Rampante, che varranno ad Alessandro Riceci una segnalazione in sede di premiazioni, superano brillantemente, insieme al loro interprete e adattatore, il salto dalla pagina scritta alle tavole del palcoscenico in un pirotecnico crescendo di invenzioni. Poi tocca a Mamet, Genet, Simon, Ionesco, Anouilh, Pinter e, tra gli italiani, a Testori, Ruccello, Campanile, mentre Goldoni, Pirandello e De Filippo rimangono stranamente in minoranza.

I giovani “autodidatti” scelgono senza esitazioni il contemporaneo, in cui ormai è d’obbligo comprendere anche il fascino senza tempo di Shakespeare, ben saldo in testa all’hit parade delle preferenze insieme a Dario Fo e Franca Rame, ai quali l’“effetto Nobel” porta nuovi giovani fans temerari e purtroppo ignari della quasi impossibilità di riproporre testi indissolubilmente legati ai “corpi” dei due autori-attori che li hanno creati. Col trascorrere delle ore passano sul palcoscenico tutte le regioni d’Italia. C’è chi si accontenta di una sedia e chi ha bisogno della sua piccola scenografia tascabile, chi usa il dialetto e chi l’italiano.

La sorpresa arriva nel primo pomeriggio, direttamente da Mazara del Vallo. È Rosario Lisma straordinario interprete dell’insidioso monologo cechoviano Il tabacco fa male, in cui si ride molto ma con un groppo in gola, e “cuntista” indiavolato della fiaba siciliana di Giufà. Non ce n’è più per nessuno: neanche i diplomati delle scuole più blasonate d’Italia riusciranno a spodestarlo dal trono di vincitore per la sezione maschile del Premio Hystrio alla Vocazione. Alla fine della giornata altri sette candidati superano la pre-selezione e si vanno ad aggiungere agli altri 56 partecipanti alle selezioni finali.Venerdì 25 e sabato 26. Selezioni finali. Accademie e scuole di Teatri Stabili in scena. Da Milano, Roma, Torino, Bologna, Firenze, Napoli, Catania, Udine, Genova, Padova, Reggio Emilia arrivano i candidati. Stesso entusiasmo, stessa ansia. Alcuni si sono dovuti ritagliare del tempo dalle prove dei saggi di fine anno, altri arrivano affannati da lunghi viaggi. Tutti con il loro piccolo o grande corredo di scena. La solidarietà non è solo tra compagni di corso, ma anche tra chi si trova all’improvviso, ma con grande spontaneità, a fare da “spalla muta” o da servo di scena a “colleghi” conosciuti da pochi minuti, magari negli stanzini o nei corridoi del teatro occupati come improvvisati camerini. Cambiano un poco gli autori prescelti per l’audizione, i grandi classici riconquistano (e non è sempre un bene) gli spazi che sembravano aver perduto nella pre-selezione. Pirandello, Goldoni, Cechov, Shakespeare, Ruzante, Manzoni, Brecht dominano incontrastati, spesso a sproposito, nelle scelte dei giovani (o dei loro insegnanti?). E su questo bisognerebbe riflettere. Non tanto sulla maggiore o minore efficacia di certi brani a un provino, quanto su percorsi didattici che rischiano di mummificare, invece che far germogliare, il talento grezzo di chi studia per diventare attore. Tecnica, presenza, padronanza dello spazio scenico sono fondamentali, ma l’effetto “pecora Dolly” è sempre in agguato e si sa, ne abbiamo avuto una prova tangibile, gli allievi “clonati” rischiano un’atrofia della creatività.

Ovviamente non si può generalizzare. Infatti è con due personaggi difficilissimi – Ofelia e Irina, rispettivamente dall’Amleto di Shakespeare e dalle Tre sorelle di Cechov – che Giovanna Di Rauso, diplomatasi qualche anno fa alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, conquista all’unanimità la giuria del premio. E insieme a lei, sensibile e appassionata, si guadagnano una segnalazione anche Tommaso Minniti, Elena Arvigo, Silvia Girardi e Michela Ottolini. Mentre Francesca Inaudi, ancora eterea Irina cechoviana, si aggiudica la borsa di studio Gianni Agus. Una bella squadra, dai visi stanchi ma felici, in posa per una foto ricordo sul palcoscenico del Teatro Litta tra gli applausi del pubblico.

 

I Giovani premiano i giovani

di Barbara Panzeri

“C’è una categoria di scrittori di teatro a cui non vorrei proprio appartenere: quella degli autori postumi” ha detto Francesco Silvestri, primo fra i premiati Hystrio a salire sul palco del Litta di Milano accolto da Claudia Cannella (che ha letto le motivazioni) e da Gaetano Callegaro, direttore artistico del teatro che, fra l’altro, ha più volte ospitato i suoi spettacoli. Iniziata con una prolusione di Ugo Ronfani che della manifestazione ha tracciato la storia passata, esponendone poi le novità di quest’anno, la serata conclusiva dei Premi alla Vocazione si è svolta all’insegna della non ufficialità in un allegro clima familiare con quel tocco indispensabile di improvvisazione. Ronfani, nel ruolo, fra tanti futuri amorosi e primattrici giovani, del “padre nobile” come lui stesso si è definito, ha anche esposto alcune considerazioni “a caldo” su questa prima nuova edizione milanese. Dopo l’attore-autore napoletano è stata la volta di Stefano Giunchi del Centro Teatro di Figura di Cervia a ricevere dalle mani di Egisto Marcucci il “trofeo” creato dallo scenografo Graziano Gregori appositamente per il premio. Chioma bianca e scapigliata, una teatralissima aria impacciata, poche divertenti parole, il regista ha suscitato l’ilarità della giovanile platea. Non meno divertente il barbuto e rotondo burattinaio romagnolo che si è detto profondamente stupito di essere premiato. Spesso relegato a solo divertimento infantile, il teatro di figura negli ultimi anni è approdato (sarebbe meglio dire, è ritornato) felicemente al pubblico adulto e il riconoscimento di Hystrio è un importante passo avanti nella rivalutazione di un’arte che nel Novecento ha affascinato i maggiori teorici del teatro. Un aspetto scanzonato da ragazzino di strada, Marco Martinelli del Teatro delle Albe di Ravenna, che ha ricevuto il premio alla regia da Antonio Calenda, ha chiamato Dioniso a testimone della vitalità del teatro. Il piccolo mondo del teatro vive in uno stato di accanita resistenza, accerchiato com’è dalla prepotenza spesso volgare dei mezzi di comunicazione. Ma finché il dio dell’ebbrezza è in noi – ha detto – c’è salvezza. Grazie alla sue lunghissime gambe, sono bastati due salti a Kim Rossi Stuart per salire sul palco e prendere il suo premio all’interpretazione da Giulio Bosetti. “Dopo Amleto che cosa può sognare di interpretare un giovane come te?” “Per ora non ho ancora esaurito il sogno di Amleto – ha risposto lo schivo Kim, idolo suo malgrado delle ragazzine –. Ho ancora molte repliche davanti che mi daranno la possibilità di approfondire la mia interpretazione. Quel che tengo a dire è che il teatro rappresenta per me qualcosa di anticamente magico”. È toccato a Nanni Garella annunciare i nomi dei ragazzi vincitori, e di alcuni segnalati, del Premio alla Vocazione e della borsa di studio Gianni Agus, e di invitarli a replicare il loro fortunato “provino”. La follia dell’Ofelia shakespeariana, la bizzarra conferenza sul tabacco di un bistrattato marito e la disperazione di Irina, usciti dalla penna di Cechov, sono stati festosamente accolti dalla platea. La serata si è conclusa con lo spettacolo del giovane gruppo A.T.I.R. Come un cammello in una grondaia. nL’edizione 1999 del Premio Hystrio alla Vocazione ha registrato l’iscrizione di centotrenta candidati provenienti da importanti scuole di recitazione italiane. La prima giornata del concorso ha avuto lo scopo di promuovere una pre-selezione di candidati che non avessero avuto la possibilità di frequentare corsi accademici. La Giuria ha avuto così la conferma del vivo interesse che il Premio ha suscitato tra i giovani che si destinano all’arte del teatro e presso gli organismi preposti alla formazione dell’attore. L’edizione 1999 del Premio è stata un momento di riflessione e di confronto importante, che ha coinvolto aspiranti attori di ogni parte d’Italia e che, a giudizio della Giuria, può anche suggerire utili indicazioni di percorsi didattici. La Giuria ha assegnato, come da regolamento, un premio per l’interpretazione femminile, un premio per l’interpretazione maschile e una borsa di studio che la famiglia ha destinato alla memoria di Gianni Agus. L’importo di ciascuno dei premi è di tre milioni di lire.

La Giuria ha inoltre deciso di segnalare alcuni candidati a suo giudizio meritevoli; per la sezione femminile Elena Arvigo, Silvia Girardi, Michela Ottolini; per la sezione maschile Tommaso Minniti Alessandro Riceci.

ll premio per la sezione femminile è stato assegnato a Giovanna Di Rauso per avere dimostrato impegno e passione, insieme ad un adeguato controllo dei mezzi espressivi e dello spazio scenico, nell’interpretare i monologhi di Irina dalle Tre sorelle di Cechov e di Ofelia dall’Amleto di Shakespeare.

Per la sezione maschile il premio è stato assegnato a Rosario Lisma, presentatosi alle prove di pre-selezione, che ha favorevolmente impressionato per le doti di temperamento, di verve istrionica e di capacità comunicativa nel ricreare in modo personale il monologo di Cechov Il tabacco fa male, e nel caratterizzare vivacemente, sul registro popolare, il ruolo di un cantastorie nella fiaba siciliana di Giufà.

La borsa di studio Gianni Agus è stata assegnata a Francesca Inaudi che, nell’eseguire i monologhi di Irina dalle Tre sorelle di Cechov e di Beatrice dall’Arlecchino di Goldoni, ha dimostrato duttilità interpretativa, accorta applicazione nello scavo dei personaggi, a livelli che già la destinano al grande pubblico.

Sul piccolo palco gli attori stanno aspettando di cominciare, impercettibilmente le luci tra scena e platea variano appena e allora gli spettatori scivolano nello spettacolo. Su un fondale nero qualche sedia e alcuni abiti appesi alle grucce: attendono, ed è come se in un tempo non troppo lontano fossero appartenuti a qualcuno e ora sentissero il bisogno di essere ri-animati, di essere di nuovo indossati, di poter dire, raccontare, ricordare, testimoniare delle persone che c’erano, delle vite che non ci sono più, delle morti, del dolore e del lutto. Ed eccoli i “giustiziati”, cittadini di sedici paesi europei: donne, uomini, anziani, giovani e ragazzi, tutti colpevoli di aver resistito al nazismo e al fascismo, tutti morti per aver lottato per cambiare il mondo. Migliaia di lettere che rivivono grazie alla volontà, alla passione e alla bravura di un gruppo di attori guidati dalla loro regista. Lo spettacolo si apre con la confessione del disagio d’essere giovani: sarà un verso della canzone di Battiato “Come un cammello in una grondaia” a distillare in una manciata di parole il profondo senso di inadeguatezza nei confronti di una società tanto carica di tensioni e lacerazioni. Si aspetta così un’occasione per fuggire, anzi, “un’ottima occasione per acquistare un paio d’ali e abbandonare il pianeta”: le pagine di Lettere di condannati a morte della Resistenza europea. Il lavoro drammaturgico si muove tra grandi autori come Pasolini, Fenoglio, Gobetti, Calvino, Viganò, Vian: la rielaborazione dei personaggi è particolarmente felice, il loro dire non scade mai nella presunzione e nella retorica dei sentimenti, risulta essere profondamente sincero, coraggioso e generoso. Gli attori dicono o leggono le lettere, tutte alla fine vengono firmate, con un gesto che taglia e segna l’aria, un gesto che imprime nella memoria una vita, un’idea grande e alla fine una morte. Tra brindisi e canzoni lo spettacolo, felicemente corale, continua, intervallato da alcuni siparietti: protagonisti due divertenti nonnetti siciliani, testimoni del passato e insieme osservatori del presente. La regista, sempre in scena, avvia lo spettacolo al finale: le sue parole sono testimonianza di una lettera di un partigiano, ma per l’universale valore che porta, la sua validità è attuale e di ogni tempo e ci spinge a non dimenticare mai, ci invita a “guardare ed esaminare insieme: che cosa? Noi stessi. Per abituarci a vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali”.