Le motivazioni 2000

Premio Hystrio all’interpretazione

Stefania Felicioli riceve il Premio Hystrio all’interpretazione per la lunga, felice stagione al Metastasio di Prato, che l’ha vista primeggiare in ruoli di grande impegno nel repertorio classico, sotto la guida di un maestro della regia come Massimo Castri, da ultimo come Lisetta negli Innamorati di Goldoni. Le origini venete, la formazione alla Scuola dell’Avogaria, le prove giovanili nel Campiello per la regia del compianto Sandro Sequi e nelle Donne gelose e Le baruffe chiozzotte allestite da Gianfranco De Bosio, l’hanno destinata a essere una delle interpreti più accreditate del teatro di Goldoni, fino al significativo Premio Elsa Vazzoler e, nel ’92, per I rusteghi, con cui aveva cominciato la collaborazione con Castri, il Premio Duse per un’attrice emergente.Stefania Felicioli, tuttavia, non è soltanto l’interprete ideale di un unico autore, Goldoni, per grande che sia, e da lei frequentato anche con registi come Squarzina, nel Ventaglio, o Andrée Ruth Shammah, nel Sior Todero brontolon. La sua capacità di cesellare personaggi femminili ora dolci e pensosi, ora arguti e scaltri, le ha consentito di affrontare ruoli di impegno nella Sorpresa dell’amore di Marivaux e nella Sposa di campagna di Wicherley, sempre con Sequi, nel Racconto d’inverno di Shakespeare con Guido De Monticelli, nell’Orestiade di Eschilo con Lorenzo Salveti, fino ai vertici interpretativi di questi anni, a cominciare dalla Trilogia della villeggiatura, Fede speranza carità di von Horvàth e Ifigenia di Euripide, con la guida di Massimo Castri.

 

Premio Hystrio alla regia

Nella schiera delle donne che in questi anni hanno validamente contribuito a rigenerare l’esercizio registico nel teatro di prosa ha un posto di preminente rilievo Cristina Pezzoli, alla quale viene attribuito il Premio Hystrio alla regia. Formatasi alla Civica Scuola Paolo Grassi di Milano e accanto a registi come Fo, Garella e Castri, dedicatasi dalla fine degli anni ’80 a regie in proprio col Teatro Due di Parma e con La Contemporanea ’83 di Sergio Fantoni, autrice di allestimenti teatrali per la televisione e di regie liriche al Festival pucciniano di Torre del Lago, Cristina Pezzoli ha firmato, con il recupero di un testo del neorealismo postbellico – L’annaspo, di Raffaele Orlando – uno dei migliori allestimenti della stagione, nei quali coesistevano rigore di analisi, passione civile e umanità. A conferma della raggiunta maturità professionale, Cristina Pezzoli si prepara a dirigere Isa Danieli in una nuova versione – che vuole “classica”, senza gli orpelli della napoletanità di maniera – di Filumena Marturano di Eduardo. Una perspicua attitudine a leggere i testi fuori dagli schemi della routine di palcoscenico, per coglierne le vibrazioni poetiche e le intenzioni sottotestuali; un equilibrio fra tradizione e ricerca che poggia su una solida cultura teatrale e su un’ attenzione vigile alla società, oltre a una sicura direzione degli attori che a lei si sono affidati e si affidano (da Fantoni alla Crippa, dalla Pozzi a Donadoni, dalla Moriconi a Cecchi), sono le qualità del suo lavoro, che ha affrontato sia i grandi classici come Euripide, Seneca, Molière, Marivaux e Goethe, sia i maestri del secolo, da Horvàth a Schnitzler, da Wilder a Beckett, e autori contemporanei come Binosi. In una concezione del suo ruolo che, nel rispetto dei valori dei testi, ritrasforma l’atto teatrale in comunicazione intensa.

 

Premio Hystrio alla drammaturgia

L’attribuzione del Premio Hystrio alla drammaturgia a Stefano Ricci e Gianni Forte – due trentenni assiduamente sodali nella scrittura a quattro mani – vuole essere anzitutto, al di là dei meriti dei premiati, un invito pressante perché cessi la latitanza della società teatrale italiana, nelle sue istituzioni e nelle sue strutture, nei confronti dell’autore italiano. Non ci sono più alibi: prima di dire che non c’è una nostra drammaturgia del tempo presente, bisogna cercarla. Senza questa drammaturgia il teatro è soltanto memoria ed esibizione, non vita. Formatisi all’Accademia Silvio d’Amico di Roma e, per l’attività autoriale, in workshop di drammaturgia e sceneggiatura in Italia e negli Stati Uniti, Ricci e Forte contano fra le loro esperienze formative anche la partecipazione a spettacoli teatrali e film della Cavani, di Ronconi, Missiroli, Guicciardini e Squarzina. Come drammaturghi, oltreché come sceneggiatori, la loro scrittura nasce dunque dalla pratica del palcoscenico e del set: con risultati di organica, immediata comunicazione.È recente il successo ottenuto al Premio Vallecorsi con la commedia Aspettando Marcello: un testo di sottile, trasognata poeticità, giocoso eppure lucido nel registrare le tragicomiche inquietudini del nostro tempo, che bene conferma le qualità di un loro teatro surreale e luminoso, eppure immerso nei sogni e nelle realtà del nostro vivere. Tali qualità erano già emerse in precedenti prove, come Cuori pulpitanti o I mercoledì di Giocasta. In Aspettando Marcello (dove il titolo è riferito al mitico Mastroianni), due cinquantenni in disarmo, To ed Elio, ripetono da sempre, come figure beckettiane, il gioco di incontrarsi in un parco, tra fantasmi e apparizioni, spiando nelle notti l’arrivo della cometa Hale-Bopp, messaggera di collettive e private catastrofi. Passano leggere, nel testo, le ombre di Beckett e Ionesco, di Achard e Anouilh, di Zavattini e Fellini; e c’è, soprattutto, il senso di un teatro di poesia che sa afferrare, come la coda di una cometa, il comico dei nostri giorni.

 

Premio Hystrio Altre Muse

Il Premio Hystrio Altre Muse viene attribuito ad Alessandro Gassman e a Gian Marco Tognazzi, che hanno condiviso la bella avventura teatrale del musical tratto da A qualcuno piace caldo, con successo di critica e di pubblico. E la motivazione di fondo del Premio è percerti aspetti simile per i due compagni di scena, che lavorano ormai da tempo all’insegna di una felice intesa professionale fatta di solidarietà generazionale e comuni opinioni sui nuovi, moderni indirizzi dello spettacolo. Entrambi hanno voluto e saputo dimostrare che non intendevano vivere di rendita sul nome dei padri. L’esperienza prima teatrale e poi cinematografica intorno a Uomini senza donne di Angelo Longoni ha cementato un’intesa fra i due figli d’arte “in cerca di libertà”, che si è risolta in una positiva complementarità di attitudini interpretative, emersa ancora una volta nel musical tratto dal film di Wilder. Alessandro Gassman ha dimostrato di meritarsi il cognome che porta. Si vuole qui richiamare – a conferma di quanto detto – la crescita costante di una professionalità cercata con ferma determinazione, dalle prime prove giovanili accanto al padre, segnatamente in Affabulazione di Pasolini, nell’’84; a Ronconi, nei Dialoghi delle Carmelitane di Bernanos, e a Mauri nello scespiriano Sogno di una notte di mezza estate. Della successiva, intensa sua attività che lo ha visto protagonista nel cinema, in televisione e nel teatro, prima e mai rinnegata passione, sono da ricordare almeno la sua presenza, come voce narrante, in Ulisse e la balena bianca, dal padre ricavato dal capolavoro di Melville; la partecipazione a Camper di e con Vittorio Gassman al Festival di Spoleto del ’94 e, da otto anni ormai, il sodalizio di lavoro con Gian Marco Tognazzi. Doti congenite, passione, risolutezza hanno fatto di lui non più il “figlio del mattatore”, ma un protagonista del giovane teatro italiano. E se Gian Marco Tognazzi, inizialmente attivo in televisione e nel cinema dalla secondo metà degli anni Ottanta, dopo gli studi all’Istituto di Stato per la Cinematografia e la Televisione, si è accostato al teatro successivamente ad Alessandro Gassman, a partire dal ’90, con testi attenti alle condizioni della gioventù d’oggi (Crack e Macchine in amore di F. Bertini), fino all’incontro con la drammaturgia new age di Longoni (Uomini senza donne del ’93 e Testimoni del ’95) che gli è valsa riconoscimenti dall’Idi e dall’Agis, l’assidua frequentazione del palcoscenico di questi anni ha provato che nel suo dna di figlio d’arte c’è la stessa passione per il teatro del padre: cui è vicino per certe caratteristiche interpretative che via via, col tempo, si sono integrate con qualità professionali autonome e originali.